..”La storia dell’arte è ormai universalmente associata al disimpegno e al divertimento: sui giornali se ne parla solo per pubblicizzare gli «eventi», all’università è ridotta a disciplina ausiliare della cosiddetta «scienza del turismo», e nell’immaginario collettivo la si ritiene (nel migliore dei casi) un anestetico di lusso, cioè una via di fuga verso «le cose belle» che consentono di non pensare alla «brutta realtà». Ma nella tradizione italiana, e prima ancora in quella classica, l’arte figurativa non è mai stata un fatto privato, né tantomeno un’evasione nella neutralità morale dell’estetica: almeno quanto la letteratura, l’arte ha invece strutturato e rappresentato il pensiero e l’identità civile del nostro Paese.” …”il discorso sull’arte è sempre stato un discorso sull’interesse pubblico, non sull’intrattenimento privato: un’altissima linea plurisecolare che è sfociata nella Costituzione grazie alla quale la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».” …”Il degrado del tessuto artistico e paesaggistico che abbiamo ereditato è direttamente connesso al degrado del ruolo che la storia dell’arte gioca nel nostro discorso pubblico: non più sapere critico, strumento di riscatto morale, di liberazione culturale e di crescita umana, ma fiorente settore dell’industria dell’intrattenimento «culturale», e dunque fattore di alienazione, di regressione intellettuale e di programmatico ottundimento del senso critico.” T. MONTANARI, A cosa serve Michelangelo?, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 2011, premessa pp. VII, VIII, IX.