Non credere che il mio dolore sia diverso dal tuo, il mio sangue più spurio.
È lo stesso groviglio di cellule, lo stesso sudore acre.
Occhi negli occhi. Se ti avvicini ti specchi.
Ci chiedono cosa sia il cambiamento.
Leggi in Treccani: “atto ed effetto del diventare diverso”.
Curioso che il diverso sia altro da me. Ti cerco in un luogo che già ti appartiene
ma nasci ogni volta.
Vi è di fatto una linea sottile da radici profonde. Uno spillo annodato nel petto.
Separa i corpi, trincea di confine. Anche questo va detto.
Anche le ragadi dal sapore di ferro. Il piscio arancione. Balbettare dentro la morte.
Anche questo va detto. È la vita che si arrovella.
Ci chiedono se poi ricomincia.
Se sei qui, in questo tempo, forse lo schifo abitava già il bello.
Complice di un tempo di fine e di inizio
ti affacci alla linfa succhiandone il seme.
Se sei in cerca di risposte, di formule di senso
noi non le abbiamo.
Custodiamo il segreto di non averne.
Sono storie che possediamo. Incontri e volti di terra straniera
sussurri che bevono dal nuovo che arriva.
Abbine cura. Giurane il tocco in punta di piedi.
Un impasto di vita, forse questo il cambiamento.
Da quel greco “kambein”, ossia curvare, piegare, girare intorno.
Mi curvo così alle pieghe della vita,
mi piego alla gioia del poco e del niente.
Scrosto il ricordo appiccicato nel letto.
Lo lavo, lo asciugo, lo nutro.
Vivo.
(Maria Rinaldi)